Giorni prima del Natale

Giorni prima del Natale

 

Prima che le cose si risveglino e tornino di prepotenza ad assediare il giorno seguire senza indugio l’istinto che ci porta ad abbandonare la casa. Uscire.  E ,fuori, perdersi in quel che rimane del parco tra i muschi e gli aghi di pino e l’erba gelata. Andare in cerca di tesori.

 

   Come si cammina volentieri. Con passo veloce. Sbucare d’improvviso in specchi di luce. Trovare la gatta accovacciata sopra rami caduti a scaldarsi. Sedersi, e godere con lei di quel tepore dorato in mezzo allo scintillio delle gocce di rugiada e dei cristalli di brina sospesi a ogni filo d’erba. (Quanto si era desiderato e sognato e lungamente atteso quest’umidità. Per interminabili aridi giorni.) Continuare senza indugio. Sfilare di tasca le cesoie (sempre con noi) e tagliare la vitalba in liane pendenti e grigie, in grovigli inestricabili. E toccare con la mano nuda il muschio folto come pelliccia sotto la gramigna, rado e sottile come peluria verde smeraldo lungo il tronco del faggio secco. Si temeva di non rivederlo mai più, il muschio. Mai più. Come sarebbe stato triste. Incontrare in anfratti d’ombra i lauri giovani e allegri con foglie bagnate e luccicanti. Fermarsi incantati davanti al cespuglio del pungitopo. Con quelle bacche rosse sulle false foglie. Persino tiepido là sotto, nell’oscurità terrosa dove si fruga tra foglie di nocciolo accartocciate per arrivare ai lunghi fusti e tagliarne uno o due, non di più, da porre nel vaso di cristallo e impreziosire il nostro Natale. E prima di allontanarsi ringraziare per tanta munifica generosità, e affascinati guardarli un’ultima volta intatti e magnifici come al momento della creazione del mondo. Riprendere a gironzolare senza meta sotto un cielo sgombro di nuvole, di un azzurro pallido, sfumato. C’è un bel silenzio, non c’è traffico, e i segnali stradali, i cartelloni pubblicitari, le insegne dei locali chiusi, le macchine parcheggiate, sembrano giochi di bambini lasciati sul tavolo la sera prima.

   Tornare verso casa infreddoliti, guance e naso rossi, ma trionfanti con il cestino ricolmo: muschio pungitopo pigne, qualche fiore viola di scabiosa; e fame che morde per aver saltato la colazione.

   Trattenersi vicino alla villa chiusa circondata da disordine e siepi morte. Così dimenticata. Così sola a custodire voci e memorie. Che anno dopo anno affievoliscono. Spazzare davanti alla porta d’ingresso foglie, erba, escrementi di piccioni sotto i davanzali delle finestre più alte. E decidere di adornare il portoncino di comunicazione tra la casa che si abita e la villa con stelle filanti argentate e rosse intrecciandole ai viticci del glicine. (Si dirà che era per festeggiare la venuta dei nipoti, e si tacerà il desiderio di mitigare quel crudo abbandono: un tempo la villa ha dato vita amore sogni; ha nobilitato la nostra vita.) E cogliere due spighe di bergenia fiorite fuori stagione con il gambo cortissimo e il rosa delicato, da mettere nel bicchiere sotto l’alberello punteggiato di luci colorate del nostro presepe. Acceso subito al mattino, appena ci si alza, il suo chiarore discreto, per nulla invadente in quell’angolo dello studio, ci accompagna per tutto il giorno. Così consolante, così fiabesca l’atmosfera che crea, così palpabile da sollevare la testa dal libro e guardare intorno. Tutto è in ordine. Le cose tacciono. La stufa è accesa. C’è un bel tepore, anche le statuine di legno disposte intorno alla capanna dove il Bambinello Gesù tra la Madonna e san Giuseppe si offre con grazia sulla paglia nudo e inerme sembrano goderne, e i pastori dietro la collina di cartapesta, e l’angelo musicante, e la bambina con la giacca  verde e gli scarponcini innevati corsa fino lì, che s’arresta, e guarda ammutolita.)

   (Al termine delle feste solo la Sacra Famiglia non verrà riposta nella scatola di cartone, ma continuerà a vivere sul centrino di broccato a rose rosse sopra la vecchia radio: non sopportiamo che i giorni che verranno ne siano privi, proprio non lo sopportiamo: dopo un pomeriggio e una sera di lettura e solitudine, quando i gatti dormono e sognano intorno alla stufa ben calda, con chi conversare sottovoce?)

   La mattina è quasi tutta passata. Sfilare gli stivali sotto il portico. Entrare in casa. Consegnarsi disarmati alle cose. «Eccoci. Comandate quello che volete. Ascolteremo. Ubbidiremo.»  (È così facile ingannarvi. Siete così ottuse. Credete alla nostra docilità. Alle nostre scuse. Ignorate la felicità di quel cestino colmo di doni davanti alla porta.)

 

 in Gazzetta di Parma, 10 dicembre 2023