L'immobilità stupefacente del cielo

L’immobilità stupefacente del cielo

 Era una sensazione strana quella che provava: tutto quello che viveva, dal più insignificante e banale dei gesti alla parola più comune appena pronunciata, scivolava via da lei, non le apparteneva più, si faceva all’istante irrimediabilmente passato. In un certo senso era vero. Ma quel rendersene conto la infastidiva. Per tutta la mattina aveva cercato di sottrarvisi. Invano.

 

Anche adesso che stavano camminando lungo il ponte, tenendosi per mano, tutto era già passato. Irritata con se stessa l’aveva lasciato, era corsa avanti e preso a zigzagare da una sponda all’altra.

“Così non perdo niente del paesaggio, né da una parte né dall’altra. Vedi? Di qui ci sono le colline azzurre, mentre di là…” non aveva finito la frase, ma fatto un gesto ampio con il braccio a significare lo spazio aperto che si apriva.

“Dammi la borsa. Sarai più leggera” le aveva risposto lui raggiungendola vicino a una maestà che si ergeva sopra la gobba più alta del ponte.

Senza staccare gli occhi dal tabernacolo dove cercava di decifrare una scritta latina coperta da esili tralci di rose, lei gliela aveva mesa a tracolla chiamandolo in tono affettuoso “il mio sherpa”. E poi di nuovo irrequieta “Leggi tu. Poi mi dirai cosa dice.” 

Il sole era caldo e l’aria vibrava di estiva dolcezza. Alla fine della discesa si era fermata, e si era coricata sul parapetto che in quel punto del ponte era basso, a malapena le arrivava all’anca.

Da bambina si costringeva a camminare sull’alto muro che arginava il tratto più pericoloso e profondo del fiume, la Vasaia, lo sguardo in avanti, le braccia aperte come un funambolo sul filo. Sapeva di non dovere guardare in basso, verso l’acqua, che altrimenti l’avrebbe ammaliata con la sua voce, il canto rauco della sua corrente, la sua profondità vorticosa. Solo quando arrivava all’altro capo del muro, e sentiva i piedi ben saldi sul terreno, si arrischiava a farlo. L’acqua appariva lontana, laggiù in fondo, ma fissandola a lungo si faceva vicinissima, verde e turbinosa: ghermita da quell’abbraccio mai più sarebbe riaffiorata. A quel lontano ricordo si sovrapposero i gesti e le parole scambiate poco prima come affiorassero anch’essi da anni di dimenticanza e di oblio. E quella giornata luminosa e il vento che l’attraversava, e loro due su quel ponte, lei li stava guardando in una cartolina ingiallita, macchiata di umidità e dal bordo seghettato, conservata in un album di famiglia.

Sentì la sua stretta sul braccio. Il suo respiro affannoso. L’odore della sua paura.

“Vieni giù, è pericoloso. Non è il posto migliore per riposare.”

“Non c’è nessuno. È solo per noi questa giornata. È come un regalo.” E aveva accettato il suo aiuto per scendere, senza protestare.  

Il fragore del fiume, amplificato in quel punto dall’arcata del ponte, l’aveva sommersa di nuovo trascinando via le sue parole. E la fulgida distesa di pietre che si fondeva con la luce violenta del cielo  l’abbagliava come uno specchio. Non c’era riparo.

“Andiamo di sotto, trovo irresistibile il rimbombo dell’acqua che si frange contro le rocce, gli spruzzi che si sollevano alti, e quel ricomporsi più avanti in onde pacifiche, innocenti. È tutto così invitante.”

Senza aspettare, quasi con fastidio, si era liberata dalla sua stretta e aveva raggiunto la scala di ferro conficcata nell’ultimo pilone che portava al letto del fiume.

Il ponte con le sue arcate irregolari, le edicole di arenaria chi si alzavano lungo il percorso, l’ombra scura e ben disegnata che gettavano su quella distesa uniforme di pietre interrompendone l’accecante uniformità, l’uomo sconosciuto che la precedeva scendendo cauto i pioli della scala erano reali, accadevano in quel momento sotto il suo sguardo, eppure erano già ricordo.

Perché? Perché tutto è già ricordo? Tutto quello che faccio è già ricordo. Io stessa sono già ricordo. Niente è reale.   

Avanzava con rabbia sull’alveo sassoso. Anche se la sua mente affannosamente tentava, non riusciva a trovare un modo per disperdere quel senso di straniamento. Sentiva lo sguardo di lui dietro le spalle, ma la sua apprensione non l’avrebbe fatta desistere dall’andare. Neppure lui era reale.

Raggiunse il tratto del fiume dove la corrente era più violenta. Alcune pietre vicino alla riva erano ricoperte di alghe verdi gialle marroni, scivolose, fluttuanti nell’acqua che cercava di strapparle.

Si piegò. Si bagnò le mani, le passò sugli occhi, sulla fronte, voleva svegliarsi da quell’incubo. Ricordò ancora come un mattino avesse voluto risalire il corso del fiume sopra il quale si dispiegava un arioso magnifico arcobaleno; voleva andare, trovare il tesoro, la pentola di monete d’oro. Si era messa in cammino. Era arrivata fino alla casa diroccata, lontana, ma poi l’arcobaleno si era dissolto. Non c’era più una direzione da seguire. Era tornata a casa.

Quello è passato, lo so. Questi sono ricordi di quando ero bambina, lo so. Ma oggi, l’oggi in cui mi muovo,  l’oggi che sto vivendo ora, adesso, in questo momento perché è già passato?

Si sollevò sulle punte dei piedi, le braccia tese sopra la testa. Chiuse gli occhi.

Questa corrente è tempo che fluisce inarrestabile dove passato e presente si confondono. Farmi travolgere da questo tempo. Sono stanca.

Inspirò a fondo, lentamente, come per tuffarsi.

“Fermati.”

Aperse gli occhi. Ancora quella luce e il rombo della corrente che la stordivano, l’avvolgevano, non le davano tregua, l’incalzavano da vicino. Abbassò le braccia. D’improvviso intorno si fece silenzio. E buio. Non erano forse stelle quelle là in fondo, che raccolte in un’ansa tranquilla del fiume luccicavano all’ombra dei pioppi? E più giù dove il fiume si dispiegava maestoso, perché era stranamente immobile e muto?

“Sono qui.”

Ancora quella voce. Di chi era? Quella mano che l’afferrava. Di chi era? Da quale tempo affioravano? Da quale periodo della sua vita?

Le scarpe e gli abiti che indossava erano bagnati. Non riusciva a muoversi. Stava ferma immobile su quella grande pietra, ostaggio della corrente che si frangeva contro. L’accerchiava. Voleva ghermirla.

Il volo largo e piano di un uccello attraversò lo spolverio dorato dell’azzurro. Lei lo seguì fino a che non si ricompose la pienezza della luce. L’immobilità stupefacente del cielo.  

 

in ALI (Associazione Liberi Incisori) 2020