Cena d'estate davanti alla finestra

Cena d’estate davanti alla finestra

 Nelle sere d’estate preparare il vassoio con la cena e andare a consumarla davanti alla finestra su un basso tavolino. La zanzariera protegge. Un pasto semplice. Poco impegnativo. Il piacere di mangiare senza parlare. Mangiare soli vicino a tutta una vita nascosta e sconosciuta che si risveglia con il buio.

Strani versi, strani richiami di animali e di uccelli salgono dal folto del giardino. Mentre nel cielo ancora chiaro si incrociano i voli dei pipistrelli. E nuvole leggere in vesti candide con orli di chiffon. Rosa e gialli. Nei temporali estivi il cielo è così basso, così basso; e le nuvole sono gonfie di lampi e di tuoni, e quando finalmente arriva il crepitio delle gocce di pioggia sulle foglie. E folate d’aria umida e calda sul viso. E odori intensi d’erba bagnata. Di terra bagnata. Di caprifoglio. Che gioia.

Dalla cinta scura degli alberi si riversano i rumori della strada. Le accelerazioni e le frenate delle auto. Il suono dei clacson impaziente, irritato. Il ruggito delle moto come di tigri fuggite in branco da un serraglio. La musica della discoteca. Per giorni è arrivata a strappi Tu si' 'na cosa grande pe' mme/ 'na cosa ca me fa nnammura'/'na cosa ca si tu guard''a mme ecc. E gli occhi si sono inumiditi al ricordo di quando si era giovani e sventati. In cerca d’amore. Affamati d’amore. Come gatti randagi. Sembravano così vere le canzoni d’amore. Allora. E tutto accadeva fuori, nel buio, nell’arsura dell’estate. Indossare abiti chiari. Delicati. Un soffio. Le collane. I bracciali. Adornarsi. Adornare “quel” corpo. Una meraviglia di giovinezza. Di perfezione. Uno stupore.

Nel fine settimana l’odore delle grigliate si spande nell’aria. Immaginarsi per gioco in quella compagnia di persone con il piatto da cui sbocconcellare, il bicchiere appoggiato alla tavola, seduti sulla sedia a sdraio, o per terra sui cuscini, a piedi nudi. Guardare. Sorridere. Sostenere una conversazione. Mostrarsi intelligenti. Brillanti. Ah, come saremmo infelici. Essere lì. Come saremmo infelici. Riportare il vassoio in cucina. Accendere la lampada vicino alla poltrona. Mettersi a leggere.

Distratti a volte da voci. Grida. Urla. Improvvise. Da rumori indefinibili che cadono con un tonfo dalla cinta nera degli alberi come pietre pesanti in uno stagno. Da altri che restano nell’aria. Come lacerazioni violente in una tela. Come buchi slabbrati. Come plastica bruciata. Annerita. La sirena della polizia. Dell’autoambulanza. Dei pompieri.

Presi dal sonno. Sollevare la testa. La stanza è una grotta buia. La sera si è mutata in notte. Inavvertitamente. Il canto dei grilli. Delle cicale. Cianfrusaglie d’ottone in un cassetto. Deporre il libro. Accompagnare fuori il gatto. Chiudere la porta. Prepararsi per andare a dormire. Pregare che la notte non si fermi. Che il suo cuore incandescente continui a battere. Che il domani si annunci come sempre con quella luce tenue alla finestra. Un’ alba nuova. Un giorno nuovo. Nel soffio divino del mattino.

 in Gazzetta di Parma, 2 agosto 2020