La sindrome di Pinocchio

La sindrome di Pinocchio  

 

Riconosceva, in quella palese ritrosia dei gatti ad uscire di casa la sera, la sindrome della capanna o sindrome di Pinocchio. Anche lei ne era affetta. Cosa c’era di meglio in quei giorni di gelo che starsene al calduccio vicino alla stufa (accesa fin dal mattino e alimentata allegramente fino a sera), a leggere un libro emozionante sulle esplorazioni polari?

Al momento di metterli fuori, agitando la scatola dei croccantini riusciva con facilità a stanarli: Pigotta sbucava dalla cesta sotto la stufa, Pandus da un vecchio plaid sulla poltrona, Selvaggia balzava dalla sedia dove dormiva della grossa. E tutti e tre, uno in fila all’altro, la seguivano giù per le scale. E una volta fuori, sempre distratti dai croccantini, questa volta lanciati a profusione – come granoturco ai polli –, chiudeva la porta e risaliva. Quella sera, però, niente sembrava smuoverli. Non solo la musica ben nota dei croccantini risultava inefficace, ma anche i vezzeggiativi stupidi che accompagnavano solitamente le carezze testa-coda o i grattini gola-gola che elargiva ai compagni fidati delle sue giornate. Anzi. Sembravano persino infastiditi.

E preso a sbuffare, a soffiare come diavoli (i diavoli medioevali dovevano soffiare allo stesso modo quando spingevano con i forconi le anime ritrose all’Inferno), manifestando in tal modo il loro disappunto, erano schizzati d’un balzo dai loro posti per infilarsi sotto il divano, la poltrona, la stufa, il tavolo…, uscirne subito dopo, girare in tondo pancia a terra, cambiarsi di posto, guardinghi e ululanti.

Cosa stava succedendo? Erano quelle le sue amate bestiole? Quelli i “compagni fidati delle sue giornate”? Non li riconosceva. Quando poi, dai e dai era riuscita a scacciarli e, grazie a Dio, a chiudere la porta, eccoli rientrare come un fulmine dalla finestra-gattaiola ancora aperta. E tutto era ricominciato. Con rinnovato accanimento da entrambe le parti. Accompagnato sempre da quell’inquietante ululato. Variato in verità. Perché ognuno dei tre gatti lo modulava a modo suo. Mai in tanti anni era successa una cosa simile. Mai. Aveva cercato di capire. Sì, la notte si annunciava fredda ma le cucce che avevano a disposizione (e di cui si servivano) collocate nella serra tra i vasi di fiori, sollevate da terra, erano ben imbottite: coperte fantasia in pile, cuscino double-face in cotone e pelliccia ecologica, morbido velluto artico e volants…Dunque? Al centro di quella sinfonia selvaggia, che incuteva un certo timore per l’aggressività che manifestava, da “padroncina amorosa (come fino ad allora aveva immaginato la vedessero) eccola trasformata in un nemico da cui difendersi. Sempre armata di scopa e le mani protette dai guanti da giardino, alla fine era riuscita a spezzare l’assedio del branco: li aveva cacciati fuori e chiuso porta e finestra. Con vero sollievo. Poi, al sicuro dietro ai vetri, era rimasta a guardarli. Accovacciati sulla soglia ancora ululavano. Minacciosi. Però, che ingrati!

 

in Gazzetta di Parma, 9 febbraio 2020