Chiudere le finestre al pomeriggio
Chiudere le finestre al pomeriggio
Non era un po’ presto per chiudere le finestre? Le giornate si erano allungate e si poteva godere più a lungo di quella luce nuova, fresca, pulita. Allora, perché?
Al mattino aveva lavorato in giardino, poi si era preparata da mangiare (qualcosa anche per la cena così avrebbe dovuto solo riscaldare il cibo al microonde), rigovernato la cucina. Adesso doveva sbarazzarsi del fuori. Fare come la zia Betty. Che molto prima del tè del pomeriggio, andava su e giù per le scale, da un piano all’altro della casa, a serrare le imposte delle finestre. Tutte. Anche quella della cucina. Ne nascevano discussioni interminabili (sempre le stesse) con la Maria, la sorella, che al contrario di lei, voleva tutto aperto, tutte le stanze inondate di luce perché ”dopo” ( e qui la voce si faceva più marcata, e la breve pausa di silenzio che seguiva serviva a conferirgli un significato inequivocabile ) ce ne sarebbe stato di tempo – un’eternità – per stare chiusi al buio. Altro che chiudere! Aprire. Spalancare porte e finestre. Dare aria alle stanze. In camera sua soprattutto. Tirare una buona volta quei tendaggi di velluto pieni di polvere, e pesanti…neanche fosse la camera di Maria Luigia…e far uscire quell’odore di borotalco, di naftalina, di chiuso… E in più si risparmiava sulla bolletta della luce, perché adesso la luce bisognava accenderla, no? Ma erano solo parole. Perché la Maria non ci si metteva certo a riaprire le imposte e la zia, che lo sapeva, continuava ogni giorno imperterrita la sua opera di oscuramento pomeridiano. E, a lavoro terminato, si spostava nella stanzetta della televisione dove, ben avvolta in un plaid di lana, restava fino all’ora di cena a godersi in santa pace le puntate di una soap opera interminabile succhiando con vigore e soddisfazione le caramelle che pescava dal nutrito assortimento delle sue tasche.
Senza dubbio quel chiudere le finestre a un’ora così insolita lo aveva imparato da lei. Capiva assolutamente quel piacere che non voleva distrazioni, interruzioni e per cui si adoprava con solerzia.
Le finestre aperte quando voleva leggere o scrivere, anche per lei erano una fonte inesauribile di disattenzione: il volo di un uccello, un bisticcio tra le gazze, la carriola lasciata nel prato…, di suggerimenti: perché non andare a fare legna? o in cerca dell’equiseto? o a trapiantare le piantine d’alloro per farne una siepe? Insomma, perché chiudere gli scuri? Chiudere il libro piuttosto. Il quaderno. Il computer. E uscire di nuovo nel tepore del sole. Ma per quanto seducente fosse quell’azzurro, per quanto quella luce là fuori danzasse allegra sui muschi delicati, non riuscivano a fare breccia nel muro della sua decisione – chiudere –, a scalfire la sua volontà: molto più appagante era sedersi al buio, e nel silenzio raccolto della stanza ( dimenticare lontano e in modalità silenziosa il cellulare), nell’alone della lampada leggere e scrivere in perfetta beatitudine. (Grazie, zia Betty.)
in Gazzetta di Parma, 24 febbraio 2019