Alla mamma piaceva Modì
Alla mamma piaceva Modì
Abbiamo vissuto per anni con un Modigliani in casa. In cucina per la precisione. Il ritratto di una giovane donna dal viso ovale, dal collo allungato, dagli occhi a fessura pieni di colore. L’avevo dipinto io.
Sulla porta di legno chiaro (e così tenero che a grattarlo con l’unghia se ne staccavano schegge minute e morbide) che immetteva in una stanzetta piccola e fredda (il salottino) con tavolo, sedie, libreria del babbo, riproduzioni di quadri famosi alle pareti. Inutile da riscaldare perché non ci si andava mai. Solo in estate la si apriva per dare aria, asciugare l’umidità, spolverare. (E allora, lo spazio angusto tra le persiane e la portafinestra, che dava rifugio a me e alla mia bambola bionda, rivelava calcinacci, insetti morti, ragnatele.)
Era stata la mamma a chiedermi di ricopiare sulla porta il quadro che compariva all’interno della rivista d’arte che il babbo aveva portato a casa, opera di Modigliani. Un pittore famoso. Così bello. Guarda. Così elegante. Guarda. In completo di velluto a coste, la camicia a collo tondo, qui a collo aperto e foulard ... La testa della modella, vedi?, è un po’ piegata verso la spalla, il collo lungo, gli occhi a mandorla, il nasino all’insù. Non è difficile. Prova.
Non saprei dire quale ritratto di donna, tra i tanti eseguiti da Modigliani, copiassi. Ricordo però che gli acquerelli non andavano bene perché il legno della porta era così poroso che li assorbiva all’istante. Dell’ azzurro della camicia, del marrone degli occhi, di quello più scuro dei capelli, del rosa del collo e del viso, del rosso della boccuccia non ne restava che una macchia sbiadita. Ripassai più e più volte il colore. Usai anche i pastelli. A lavoro ultimato la mamma guardò e disse: “Uno scarabocchio”. Ma dovette accontentarsi. Quando alzava la testa dal cucito (la mamma faceva la sarta) lo vedeva. E sospirava. “Ah, Parigi. La bohème. Ah, Modì. Povero Modì.” Davvero così povero che non si sapeva come facesse a vivere. Si alzava. Deponeva il lavoro. Metteva sul fuoco la pentola. E io sapevo che se solo Modì avesse abitato nei dintorni di casa nostra di certo mi avrebbe mandata a chiamarlo perché si sedesse a tavola con noi, o lo avrebbe fatto entrare e sfamato all’istante vedendolo comparire davanti alla porta. “Che idea quella di fare il collo lungo”, ripeteva. Sinonimo per lei di eleganza, di distinzione, il collo lungo le piaceva così tanto che per un certo tempo mi impegnai ad allungare il mio. Di nascosto tendevo quanto più potevo il collo verso l’alto, inclinavo la testa avanti e indietro, la ruotavo di qui e di là per favorirne l’allungamento. A collo lungo conseguito le sarei comparsa davanti e…come mi avrebbe amata!
Con il passare dei giorni abbandonai quel proposito; e anche “il nostro Modì” si trovò ben presto circondato da funghi rossi a puntini neri, da pesci palla, da ciliegie e alla fine, costretti a traslocare in un paese vicino, fu abbandonato al suo destino. Ah, Modì. Com’era bello Modì.
in Gazzetta di Parma, 19 agosto 2018