Non essere raggiungibili

Non essere raggiungibili

 

A lei piaceva stare nascosta come le chiocciole. Che nel prato, nelle siepi, sotto pezzi di corteccia, di rami caduti, di foglie umide se ne stavano chiuse nella loro conchiglia sigillata con la bava argentea dei loro sogni. E non rispondere quando la chiamavano.

 

Da bambina era sempre la voce della madre che la raggiungeva. Nel suo nascondiglio (mai lontano da casa) sentiva il suo richiamo reiterato e dopo un po’, non ottenendo risposta, la vedeva scendere le scale,  affacciarsi sulla strada, chiedere alle persone che passavano se l’avevano vista e poi, impaziente, imboccare il sentiero che portava al fiume. Di rado usciva dalla sua tana e le si faceva incontro. Più spesso se ne stava zitta, accovacciata in un angolo della legnaia, o nel sottoscala in compagnia della sua bambola, e aspettava che la voce della madre cessasse d’inseguirla. E lei potesse riprendere i suoi giochi. Non pensava mai all’ansia che spingeva la madre, non appena si riscuoteva dal suo lavoro di cucito e non la vedeva lì intorno, a cercarla. Non pensava mai che sarebbe bastato dire a voce alta “sono qui” per acquietarla. Invece no. Sempre zitta. Quanti rimproveri per questo. Quante sculacciate. Pure continuava a tacere, a restare segreta nei suoi posti. Dove solo l’Occhio di Dio poteva raggiungerla. Perché Lui era ovunque. In ogni luogo. Non c’era nascondiglio che Lui non conoscesse, che il suo Occhio non penetrasse. Lei cercava di sorprendere sul soffitto tra le ragnatele, dietro la pila delle cassette, la catasta delle fascine, nei muri scalcinati il triangolo azzurro circondato da raggi di luce (così era dipinto sopra l’altare) che lo conteneva. Ma per quanto cercasse non riusciva mai a vederlo: fuori dalla chiesa l’Occhio di Dio diventava invisibile.   

Con il passare degli anni, questa maniera di comportarsi non era affatto scomparsa. Adesso, trovando  irritanti gli squilli del telefono che facevano irruzione a ogni ora del giorno, stancante il sentirsi continuamente  sotto lo sguardo, per quanto amoroso, dei familiari e degli amici, adesso, per difendere uno spazio solo suo dove stare in silenzio, seguire il filo dei propri pensieri, agire indisturbata nel perimetro della sua realtà o immaginazione, lei staccava il telefono, non rispondeva al cellulare.

Ne discendevano, ovviamente, bugie innocenti, per quanto credibilissime e plausibili: era in giardino, era a fare la spesa…, non aveva sentito, aveva dimenticato il telefonino da qualche parte, era scarico...ma in tal modo preservava il nocciolo più nascosto della sua intimità, del suo fare, il bello della sua giornata.  Dire, per esempio, che quella mattina di primavera si era sfilata le scarpe e aveva camminato a piedi nudi sul prato non resistendo al richiamo suadente delle viole non era svilire, ridurre a povera cosa lo splendore? Per lei era così. Il segreto della sua felicità era stare nascosta. Non rispondere. Non farsi trovare.

 

in Gazzetta di Parma,1 aprile 2018