La vecchia, il diavolo e l'angelo

La vecchia, il diavolo e l’angelo

 Solo il diavolo poteva correre per la campagna bruciata dal sole. Il vento che imperversava da giorni seminando folate incandescenti di calore che si infilavano di prepotenza attraverso lo spiraglio della finestra e le sfioravano il viso fino a toglierle il respiro, altri non era che lui, il diavolo, in uno dei suoi infiniti travestimenti. La vecchia lo sapeva.

 L’eco dei suoi zoccoli biforcuti, da caprone, che percuotevano il suolo arido e sabbioso, del suo riso, delle sue irridenti maledizioni risuonava ovunque. Era presto, ma tutto del giorno era già scritto in quell’aria irrespirabile, in quella luce violenta e abbacinante che dardeggiava i muri della casa. E già con indosso le livree e pronto da tempo era il corteo stridulo e ronzante delle sue bestie. I calabroni. Le vespe. Le cavallette. Le zanzare e le mosche e le cimici. Le api assetate. Le cicale deliranti. Tutta l’aria vibrava di un continuo impaziente ronzare. Di un volare frenetico. Di uno stridere. Di uno scambiarsi informazioni. Di un tendere trappole. In quel frinire multiplo e variato, in quello strepito di ferraglia si coglieva un desiderio irrefrenabile di colpire. Pungere. Assalire. Accoppiarsi. Succhiare. Uccidere.

Serrò gli scuri con il chiavistello. Si sedette sul bordo del letto, i piedi nudi sul pavimento. Neppure quel giorno sarebbe uscita. Fuori tutto era asfittico, percorso da fremiti di sofferenza. Dagli alberi cadevano gocce appiccicose e nere che insudiciavano le foglie e i rami sottostanti. E ovunque cardi spinosi, a gruppi di tre, quattro se ne stavano ritti come guerrieri chiusi nella loro armatura luccicante sotto il sole, anch’essi in attesa di ordini.

Aveva sete. Bere acqua fresca le avrebbe dato sollievo. Ma non aveva la forza di procurarsela. Si ravviò i capelli con le mani. L’unica salvezza era stare chiusa in quella stanza già soffocante, in quel buio, in quell’immobilità, e giocare con la sua mente per ingannare il tempo. Solo così poteva farcela. Riuscire a toccare la sera quando la luce si sarebbe finalmente smorzata, e il rosso inferno all’orizzonte avrebbe ceduto a una fragile ombra.

Di nuovo pensò all’acqua. Ne pronunciò la parola. Acqua. Che nostalgia le suscitava il suono di quella parola. Acqua. Acqua Santa. Acqua Benedetta. Acqua che lava i peccati. I corpi dei morti. Acqua per gli assetati. Così andava bene. Le ore sarebbero trascorse mentre ascoltava il fragore di cascate. E rideva per gli spruzzi sul viso. Stanca di sogni, avrebbe preso un libro tra quelli sparsi sul pavimento, l’avrebbe aperto a caso incominciando a leggere. Non c’era un inizio e una fine. Non solo nei libri. Non c’era mai. Solo lo scorrere del tempo esisteva - un vento che spostava dune di sabbia nel deserto. Ma leggendo avrebbe dimenticato ogni cosa, e quel giorno, come gli altri, sarebbe andato per la sua strada. La vita poteva veramente ridursi a pochi gesti.

Nel dormiveglia in cui spesso cadeva assediato dal frinire ossessivo delle cicale, le sembrava di avvertire il ghigno beffardo del diavolo dietro gli scuri. Vattene, gli diceva. Sono solo una vecchia. Guardami. Che vittoria sarebbe la tua? Vattene. Ma lui non se ne andava. E soffiava parole sconce e bestemmie nelle fessure dei muri, sotto le porte.  Abbracciava la casa. La circondava di fiamme.

Una notte - quale dopo tante? -  senza più forze né pensieri la vecchia pregò a lungo. E attese con il viso girato contro il muro. E l’angelo venne. E le diede da bere. C’era una dolce frescura nella stanza. Lei sapeva che fuori il prato era bagnato di pioggia, ricoperto di foglie, di mele cadute.

 

in Gazzetta di Parma, 8 ottobre 2017