San Giorgio e il drago

San Giorgio e il drago

  Il santino del Cristo trasfigurato era infilato in un angolo della lavagnetta appesa in cucina. Scivolato fuori dalle pagine di uno vecchio messale che le era stato donato in ricordo della zia morta, e memore del fatto che mai e poi mai bisogna gettare nella spazzatura le cose di chiesa, meglio bruciarle se proprio non si sapeva cosa farne - quella sistemazione, temporanea pensava, le era parsa onorevole. Con il tempo, si rivelò anche utile. Infatti le preghiere, le invocazioni, le richieste d’aiuto che più di una volta gli aveva rivolto, vuoi perché l’arrosto, dimenticato, non fosse bruciato o la pasta non risultasse troppo cotta, vuoi perché la cervicale smettesse di tormentarla o quella voglia di piangere che a volte l’assaliva d’improvviso l’abbandonasse, sempre erano state raccolte. Mai quel Cristo luminoso in volo sopra la collina aveva fatto mancare il suo sostegno, sempre l’aveva sorretta nelle prove più difficili e confortata in attimi di smarrimento e di paura.

Ormai, doveva ammetterlo, la sua presenza muta e salvifica, le vesti bianche, le cosce possenti, le braccia aperte, il viso rivolto al cielo le era diventata indispensabile.La scoperta avvenuta mentre seguiva in televisione una lezione sulla pittura del Cinquecento che quel Cristo solitario, fasciato di pura luce, e da lei considerato ormai alla stregua di uno di famiglia, era un dettaglio, anche se il più importante, della Trasfigurazione di Raffaello - opera rimasta incompiuta per la morte prematura dell’artista -, ed era affiancato in realtà dai profeti Mosè ed Elia mentre in basso si agitavano gli Apostoli e, ancora più sotto, nell’ombra, gli spettatori e il fanciullo indemoniato, ecco, quella scoperta  l’aveva gettata nello sconcerto.E sortì ben presto i suoi effetti. Era con vero imbarazzo che ormai gli si rivolgeva, vergognandosi non poco a disturbarlo per le sue misere faccende. Troppo regale, troppo risplendente, troppo assorto. Troppo Dio. Smise di guardarlo. Smise di parlargli. Smise di chiedere. E il dialogo con il divino, che pure le aveva dato grandi soddisfazioni, e da cui erano discesi innegabili benefici, si interruppe. Dal momento però che quel giornaliero chiamare in causa il soprannaturale, quel prendere a testimone della propria vita ordinaria il trascendente le mancava, pensò di sostituire il Cristo con un santo che le incutesse meno soggezione e a cui potesse rivolgersi apertamente, a tu per tu, senza imbarazzi. Sì. Ma quale? In attesa di una scelta che non voleva qualsiasi tra i tanti santi che affollavano il calendario, il Cristo continuava a starsene al suo posto trascurato, dimenticato quasi. Fino a quella mattina.

Andata a fare visita alle api, e tolto il coperchio di zinco alla prima arnia era apparsa una lucertola che in maniera fulminea aveva avvolto la coda intorno alla leva stacca favo che teneva in mano. E così determinata a difendersi, a non abbandonare quel posto riparato, che più volte, infastidita, aveva dardeggiato nell’aria la sua lingua bifida e retrattile. Un colpo secco contro l’arnia l’aveva fatta cadere nell’erba dove era sparita. Il segno che aspettava. 

Il Santo che in cucina avrebbe preso il posto del Cristo sarebbe stato San Giorgio che lotta contro il drago: le squame verdi e la coda della lucertola avvinghiata alla leva erano state determinanti. La lunga lancia del Santo avrebbe trafitto alla gola tutte le sue paure salvandola dai pericoli e dagli incidenti domestici; ad ogni sua implorazione sarebbe comparso per liberarla da pentole e padelle, da malinconie e tristezze. Che il Cristo accettasse le sue scuse e i suoi ringraziamenti - era stato bello -, ma San Giorgio era il suo nuovo protettore. Non c’erano dubbi: quello era il suo uomo.   

  in Gazzetta di Parma, 20 agosto 2017