Il piccolo cuore del coniglio

Il piccolo cuore del coniglio 

Per prima cosa doveva sistemare la spesa che ricopriva il tavolo della cucina. Poi, dedicarsi interamente al coniglio. Che bisognava fare a pezzi. Perché al supermercato lo aveva acquistato intero, come offerta del giorno, e non porzionato. Non le sembrava difficile: coltelli adatti ne aveva e, all’occorrenza, poteva servirsi di un paio di forbici da elettricista, utilissime, che teneva sempre a portata di mano. In breve il tavolo fu sgombro.

Liberò il coniglio dall’ involucro di pellicola trasparente, lo adagiò sul tagliere, lo decapitò con un colpo netto e preciso della piccola mannaia, lo aprì a metà, estrasse i reni, i polmoni, il fegato, il cuore. Bene. Ci stava riuscendo. Senza esitazioni.  Adesso toccava alle zampe posteriori. Ne afferrò una, la stese per bene e nel cercare il punto adatto dove affondare il coltello, ricordò la storia di Leprotto, letta in un libro per bambini, che fuggiva davanti alla calata improvvisa di un’aquila lasciando orme a zig-zag nella neve. In un certo senso grata per il ricordo affiorato che la distraeva da quel lavoro da macellaio, cercò di precisarlo, di visualizzarlo meglio. Era rimasta interdetta, ricordava, perchè nel momento in cui l’aquila piombava su di lui, pronta a ghermirlo con gli artigli affilati, Leprotto si arrestava di colpo, con le zampe posteriori le sferrava un calcio, subito dopo un altro, così forti e inaspettati da stordirla, e in quel turbine di piume e di neve che si era creato, lui ne approfittava per riprendere la fuga, e nascondersi. Che assurdità! pensò di nuovo, come allora. Il figlio invece aveva riso di gusto alla trovata di Leprotto, e aveva battuto le mani, contento. Le illustrazioni del libro erano belle. Le ali dell’aquila marrone scuro con riflessi rosso-dorati occupavano entrambe le pagine del libro aperto, il suo becco ricurvo e gli artigli possenti apparivano indistruttibili, gli occhi gialli tradivano bramosia e ferocia. I leprotti - perché c’era anche una leprottina che aveva salvato Leprotto dalla volpe l’autunno precedente e per questo era divenuta sua amica, avevano il pelo invernale bianco morbido e soffice, gli occhioni scuri fondi e intelligenti contornati da lunghe ciglia, il triangolo del nasino deliziosamente rosa. In agguato, dietro la siepe ai margini del campo, la volpe era ritratta in uno stato di tensione con le orecchie ritte, la lunga e folta coda rossa fremente, le fauci spalancate, pronta al balzo, all’inseguimento. Ecco. Le zampe sia posteriori che anteriori erano tagliate. Non restava che il dorso, poi aveva finito. La favola terminava con i leprotti finalmente al sicuro nella loro tana sotto i rovi, uno vicino all’altro, al calduccio, sorridenti mentre il bosco cadeva sotto l’incantesimo del buio e della neve. Prese i pezzi di coniglio (tranne la testa), e andò al lavandino a sciacquarli.  Uffa. C’erano ancora i piatti della sera prima. Ma, una volta messo a rosolare il coniglio nel trito di aglio e rosmarino, sfumatolo di vino bianco e regolata la fiamma, aveva tutto il tempo di lavarli. Come si intitolava la fiaba? E la leprottina come si chiamava? Anche lei aveva un nome. Non riusciva a ricordare. Già un profumo appetitoso si spandeva per la cucina. Prese a liberare il lavello dai piatti, dai bicchieri, dalle posate… Sul fondo, a ostruire lo scarico del lavandino, il piccolo cuore del coniglio. Lo prese in mano. Un grumo viola pallido dilavato dall’acqua. Alla fine Leprotto era stato catturato e ucciso. (Ma questa era un’altra storia)

 

 in Gazzetta di Parma, 11 giugno 2017