I ragni
I ragni
Ragni, in casa, ce n’erano di sicuro. Eppure, anche se da giorni pioveva, e l’aria fuori era umida e pesante, e nelle stanze si percepiva la stessa opprimente umidità - e questa, lo sapeva per esperienza, era la condizione ideale perché i ragni si mostrassero - ancora non ne aveva visti.
L’avversione che provava per i ragni non era rivolta tanto a quelli longilinei, dal corpo piccolo con gli arti estremamente lunghi e sottili della famiglia Pholcidae che se ne stavano a testa in giù ad aspettare pazienti e immobili la preda, quanto a quelli della specie Scytodes thoracica ( il ragno sputatore che immobilizza le sue prede spruzzando a zig zag una sostanza appiccicosa prodotta dalle ghiandole contenute nel prosoma). Questi infatti erano più tozzi con macchiette, puntini neri sull’addome giallo chiaro e lungo le zampe, con abitudini prevalentemente notturne. E ogni volta che s’imbatteva in loro sulle pareti, sui serramenti della finestra, nel battiscopa di legno scollato dalla parete, dietro ai termosifoni dove si riparavano durante il giorno, la infastidivano oltremodo costringendola sempre, al momento di coricarsi, a perlustrare la stanza.Il figlio le aveva proibito di “toccarli”, almeno quelli in camera sua doveva lasciarli liberi di vagare a proprio piacere, guai se avesse alzato la scopa o la ciabatta su di loro, guai se avesse diretto il tubo dell’aspirapolvere su quella piccola macchia nera, immobile, inoffensiva, del tutto ignara - povero ragno! - del pericolo che correva. Quando però il ragno era, come dire ?, “extra moenia” lei si sentiva libera di tendere le sue imboscate domestiche, schiacciarlo o aspirarlo, di fatto, ucciderlo. Ultimamente però - doveva ammetterlo - provava disagio ad assistere al rattrappirsi delle lunghe zampe intorno all’addome, a quei brevi spasimi che lo percorrevano, al raccogliere quel grumo gelatinoso e informe che ne restava, o al piombare su di lui con quel risucchio che non lasciava alcuna possibilità di salvezza. Perchè i ragni delle abitazioni - si ripeteva - erano utili, ecologici: si nutrivano di zanzare, mosche, piccoli grilli, formiche, tarme, pesciolini d’argento…tutti insetti fastidiosi, e uscivano appunto per questo: per andare in cerca di cibo, o di una femmina per l’accoppiamento, non altro.Anche quella sera prima di coricarsi, come ormai d’abitudine, non mancò di guardare pareti e soffitto, di sollevare la cartina geografica, di spostare scatole di scarpe contro il muro. No, non se ne vedevano. La pioggia tempestava gli scuri, scorreva impetuosa nelle grondaie. Era bello starsene al sicuro, scivolare nel sonno cullati da quel rumore piacevole di pioggia. Eppure non si sentiva tranquilla. Qualcosa la disturbava. Si sentiva osservata. Accese la luce. E lui era là, sulla parete. Nero. Grosso. Con tutte le sue otto zampe aperte, a raggera, che sembravano raddoppiate per l’ombra densa che mandavano. E la guardava (sì, la guardava!) con gli occhi spalancati. Doveva assolutamente eliminarlo. E doveva farlo in fretta per non dargli la possibilità di fuggire, di nascondersi. Balzò fuori dal letto, prese l’aspirapolvere, infilò la spina, premette il pulsante, lo aspirò senza ripensamenti immaginandolo dibattersi, per un breve attimo, tra la polvere e la lanugine che conteneva il sacchetto, alla fine morire. C’era un’alternativa? Perché non provare a prenderlo con guanti carta e paletta, e gettarlo fuori dalla finestra? Con tutto quel giardino intorno a casa…E mentre riponeva l’aspirapolvere si accorse di pensare, persino con una certa impazienza, a quando vedendolo di nuovo brillare opaco e immoto sul muro come una stella nera, forse per la prima volta, sarebbe stata gentile con lui.
in Gazzetta di Parma, 25 settembre 2016 ( con il titolo: Anche quella sera guardò le pareti…)