Trittico in morte del bosso( 1°parte)

Trittico in morte del bosso (prima parte)

(La siepe di bosso e le larve della piralide)

 

Non ce l’avrebbe fatta a vincere le larve della piralide che avevano assalito il bosso.  Quando si era accorta di loro -  nemico che se ne stava nascosto all’interno della siepe, silenzioso come i Greci nella pancia del cavallo - era ormai troppo tardi. Troia era caduta. Così sarebbe stato del bosso. La lotta era impari. Loro - larve della Cydalima perspectalis - ingurgitavano foglie insonni infaticabili fameliche. E avanzando man mano dal profondo del cespuglio verso i rami esterni per trovare nuovo alimento, venivano allo scoperto, si mostravano. La siepe - un patrimonio di bosso rigoglioso e splendido: in estate i rametti nuovi di un verde tenero si staccavano dal resto coriaceo e scuro come piume leggiadre, in inverno piegato dalle nevicate mostrava una bellezza flessuosa - stava morendo. A niente riuscivano i trattamenti con insetticidi spruzzati tra i rami, sopra e sotto le foglie dove loro, maledetti diavoli verdi, se ne stavano acquattati. E mangiavano. Mangiavano. Mangiavano. Come odiava quelle larve! Di un odio vero. Profondo. Incandescente.

Importata dall’Asia Orientale, l’orribile farfalla – piccola, ali bianche contornate da una fascia marrone - si era diffusa in Europa così rapidamente che quando ci si era accorti della sua mortifera presenza, lei si era già propagata ovunque colonizzando indisturbata antiche e nuove aree verdi.

L’attacco alla siepe del giardino era in pieno svolgimento e appariva vasto. Inarrestabile. Dopo la prima disinfestazione, quando nuove sparute foglioline verdi avevano ricominciato a spuntare sui rami defogliati, sembrava fosse riuscita a fronteggiare il flagello. Ne aveva gioito. Aveva sperato. Poi, la disfatta. Benchè ripetuto, il trattamento non aveva sortito nessun effetto. Erano migliaia. Come le cavallette bibliche.

Dietro casa, sotto la finestra della sua camera, il bosso appariva maggiormente colpito. Le ragnatele tra i rami secchi erano numerose e fitte, e all’apice, sull’ultimo verde, si vedevano le larve mangiare pacifiche, gonfie, mai sazie.  Provava una tale avversione per loro che a volte, colta da un furore improvviso, infilava un paio di guanti, una camicia a protezione delle braccia, e si metteva davanti alla siepe o addirittura in mezzo vincendo la repulsione, e le staccava una ad una dalle ultime foglie inermi, sofferenti. Le cercava. E loro dovevano avvertire il pericolo perché tentavano di migrare sotto la pagina inferiore della foglia, o si inanellavano svelte, o si stendevano lunghe sul ramoscello disseccato cercando di mimetizzarsi. E bene ci riuscivano perchè il colore giallo e verde scuro con striature bianche e nere lungo tutto il corpo (fino a 5 cm può misurare) e la testa nera, da diavolo, ben si prestava alla necessità. Ma il suo occhio esercitato le coglieva, e la sua mano le afferrava lesta (quante crisalidi ben sigillate, dove se ne stavano sazie e ben pasciute in attesa di diventar farfalla, aveva strappato!) le scagliava a terra, e il piede le pestava con rabbia. Il loro sangue era verde. Ma era il sangue del bosso. La sua linfa vitale, non il loro. E dopo averlo intuito per rispetto a lui, al bosso millenario, non le schiacciava più sotto il piede, ma le gettava in un secchio d’acqua. E in quel patetico inutile tentativo di salvarlo, lo compiangeva per la sua fine. “Non puoi scappare, caro amico”, gli diceva. “Non puoi fuggire. Non puoi difenderti dall’assalto di questi bruchi maledetti. Stai morendo dopo aver vissuto per anni, tu, Buxus sempervirens, felice e orgoglioso”. Così gli parlava piangendo di sdegno e di dolore. 

(Sotto al sambuco, in un angolo ombroso e fresco, ricoperto di muschio, dove ogni estate metteva i vasi dell’aspidistra, il bosso era già stato vinto: secco e muto, irrimediabilmente morto, appariva come un vecchio merletto écru dimenticato in un cassetto)  

Per tutto il tempo che durò la sua agonia, il dolore profondo e continuo che provava unito al disgusto per le larve-bruco, toccò anche la casa, il resto del giardino, le piante. I suoi sogni. Una notte, quando ormai si era all’epilogo di quella lotta e la vittoria delle piralidi appariva oscenamente certa, una notte si era svegliata piena di terrore. I suoi capelli erano i fili delle ragnatele bianche che trattenevano gli escrementi e le esuvie delle larve. Aveva incominciato a piangere, come si piange la morte di una persona amata. La morte di un amore. Senza consolazione.

in Gazzetta di Parma, 28 febbraio 2016