"Il colore del verde" nell'Eden della scrittura

 

“Il colore del verde” nell’Eden della scrittura

di Camillo Bacchini

 

I versi di Anna Maria Dadomo, da Franco Maria ricci “vestiti di un chiaro blu carta da zucchero” in un volume che soltanto la sua mano di inarrivabile Editore del Bello poteva concepire così finemente sobrio ed elegante ad un tempo, vanno a costituire ­ – pagina dopo pagina fluendo come una tranquilla sorgente di sangue tiepido – un diario intimo di disperata bellezza. La poesia di Anna, qui raccolte sotto il titolo di Il colore del verde sono incorniciate da un dialogo a distanza, e pur intimamente fraterno, costituito dalle pagine introduttive dell’Editore e da quelle, conclusive, da lei.

 

Così questo volume, che ho provato a definire diario in versi, viene ad assumere un senso ancor più gravido di significati autobiografici, che si distendono nel ricordo affettuoso, accorato, laddove nelle poesie la scrittura volge invece al presente, col tempo della cronaca diaristica appunto, che consuma la pagina e il momento in tempo reale, lasciando sulla carta FMR tracce fragili e delicate; sono tracce da conservare, da curare, da innaffiare con attenzione, come il giardino di Anna attorno a casa, alle soglie di Parma, un giardino fatto di “piante di un privato Eden”.

Ma anche l’Eden appassisce, come il corpo e le stanze – “invecchio in compagnia di questi alberi/ nel pacciame di foglie marce “– e la casa deposita muffe e malefizi sui libri, mentre “il picchio rosso tamburella sugli scuri con il becco”.  

È una lotta a tratti dura, a tratti rassegnata in dolcezza esangue, che la Dadomo conduce contro “ cattedrali di verde sfaldate dalla luce”, contro “ l’estate che decapita”, contro “ i falsi precipizi della luce”, contro “ le ombre annidate sul palmo delle mani”, armata di falcetto di fronte a una vegetazione che abbraccia la casa in un sonno d’abbandono, ove ”il pergolato del glicine caduto  sulla balaustra” si affianca all’”intonaco scrostato” e allo “ zerbino coperto di muschio”; una lotta fatta d’intrichi di ginocchia e di rami, condotta lungo percorsi nascosti, sia all’interno del corpo sia nelle stanze della casa ( “dopo colazione l’esercito delle cose  marcia serrato in cucina”), come pure nei vialetti (“c’è un angolo nel filare delle magnolie che non pulisco mai"). Le pagine girano le stagioni, dalla primavera all’inverno, in un alternarsi di mesi che tuttavia non è da intendersi – sarebbe troppo facile, del resto – quale contrazione simbolica della vita, bensì concepito e raccontato come se fosse la partitura di un ultimo estremo anno di vita, la cui seduzione sottile della fine s’insinua fin dall’inizio, latente, senza peraltro alcun desiderio d’evasione da codesto carcere decadente fatto di” sbarre di luce “, ove il tarlo del tempo compie il proprio lavoro senza violenza, sulla casa e sul corpo, cullandoli in una “mandorla di tepore dorato”. Ma è anche, questa, una poesia d’inconsapevole speranza, l’”ultima dea” foscoliana, incosciente e irrinunciabile: una speranza che non è data dalla redenzione ( il sentimento religioso  e la preghiera, sì, è vero, scivolano a tratti su questi versi, ma senza davvero aggrapparvisi), quanto piuttosto dal peccato della scrittura. Un libro, questo, pieno di vibrazioni, intensamente vitale, per quanto indugi sulle gocce chela solitudine distilla giorno dopo giorno, in un “cespuglio d’ore”, avvolgendo la vita in un bozzolo che non è più dorato altro che dalle luci di un tramonto sentito non già imminente, o minaccioso, bensì prolungato sino all’indeterminatezza, fino a toccare “la sponda buia del giorno”.

 

recensione di Camillo Bacchini a Il colore del verde in Gazzetta di Parma, sabato 24 agosto 2019

Il colore del verde, Anna Maria Dadomo

FMR,Il Labirinto scritto, Parma, pagg.150