Uccidiamo il divano!

Uccidiamo il divano!

 

Uccidiamo il divano! Non vogliamo più sentire parlare del divano! Della sua struttura sinuosa, del suo schienale avvolgente, del suo rivestimento imbottito, della sua cuscinatura! Basta! Come già un tempo il grido futurista «Uccidiamo il chiaro di luna!» oggi «Uccidiamo il divano!».

 

Solo di lui si parla. È lui il protagonista. Tesoro prezioso al centro del cosy living, ospitale, comodo, intimo, piacevole. Di che divano si parla? Del classico divano a tre posti? Figuriamoci! Che cosa antiquata. Oggi il divano si propone nelle sue infinite, declinate metamorfosi. Oggi il divano è morbido,  camaleontico, trasformista, ma allo stesso tempo scultoreo. Componibile. Da costruire come puzzle, aggiungendo tavolini e contenitori tra una seduta e l’altra.

   «Nel progetto dei divani sembra oggi prevalere la linea curva, oltre ad accentuarsi la tendenza alla componibilità che scardina definitivamente l’immagine compassata del divano come seduta formale.» E da questi numerosi moduli caratterizzati da sedute colorate scaturisce un senso di gioia di vivere che supera i confini degli arredi, sono come isole che si muovono nello spazio e creano configurazioni sempre diverse in grado di assolvere a differenti funzioni. Questa grande componibilità delinea un paesaggio domestico dinamico, mai ripetitivo, creativo, favorisce il dialogo con gli altri arredi della stanza: un dialogo armonioso tra il passato e la contemporaneità. Basta stare in ascolto. Coricati, appunto, sul divano. E da questo luogo magico guardare le ampie sedute disposte intorno a semicerchio per gli amici che verranno, con i quali converseremo, prenderemo l’aperitivo prima di accomodarci in sala per la cena. Quel bonheur.

   Per un più di esclusività ecco il divano rotondo come un’isola, un atollo maldiviano, con il suo verde rivestimento che riproduce la vegetazione lussureggiante di quei luoghi lontani; tutto solo nella sua bellezza ed eleganza, avvolto in uno spazio infinito di blu e d’azzurro, e fonti luminose che creano nella zona soggiorno un’atmosfera indeterminata, un giardino della purificazione dove il rito avviene in un bagno di luce. Mai trascurare l’alternanza di luce diretta e indiretta nell’ambiente: se la luce disegna la scenografia, come a teatro, il divano è l’attore protagonista che anima lo spettacolo. Dunque, il divano e la luce. Connubio fonte di benessere. La forma mentis si dipana allora in tutta la casa contagiando anche gli accessori, i mobili, i colori dei tessuti, delle pareti, dei pavimenti. Pop e zen. Femminile, le sue forme familiari morbide, rassicuranti, generose. Non lo si ripete mai abbastanza. Per assecondare il nuovo modo di abitare i nostri spazi, lui sempre più fluido e senza regole. Sorprendente. Un esempio? Vogliamo aprire la finestra che affaccia, com’è naturale, sul giardino interno perfettamente curato nel pieno centro della città, ma temiamo le zanzare e non vorremmo trasformare il divano dove siamo in dimensione meditativa nell’isola di Sachalin? Ci basterà tirare la tenda a zanzariera, chiuderci dentro, continuare a sognare, a viaggiare nello spazio e nel tempo, e al risveglio, rispondendo a un urgente bisogno interiore, allungare la mano per prendere uno dei tanti coffee table books disposti sul tavolino accanto ai cataloghi dell’ultima mostra visitata. (Inoltre, nelle morbide tasche laterali porta oggetti troveremo tutto quello di cui abbiamo bisogno per distrarci, l’inaspettato e il dimenticato, come nella calza della Befana.) Nobile semplicità e quieta grandezza del divano.

Eppure. Un giorno entriamo in casa e chissà per quale ragione vediamo il divano, quel nostro amato spazio quotidiano, denso di significati interiori, reconditi, mai detti, che solo la psicanalisi potrebbe spiegarci, con occhi diversi. E ci prende il desiderio irrefrenabile di colpirlo. Tratto dalla tasca laterale impugniamo, come Lucio Fontana, il taglierino Stanley e al grido di «Uccidiamo il divano!» pratichiamo tagli profondi nell’imbottitura, per passare poi, frenetici, al punteruolo (dalla stessa tasca) e tracciare vortici di buchi spaziali, aperture verso l’inconscio. Tagli e buchi. Senza premeditazione. Come vengono vengono. Alla fine, esausti, crolliamo sopra cumuli di ovatta. Infiliamo la testa sotto l’intelaiatura fracassata. Lì, il luogo dove ritroveremo noi stessi. E quieti e immobili aspettiamo, con gli occhi chiusi e senza fretta, che si compia l’esperienza dell’illuminazione. Molto somigliante al desiderio del vuoto.

 

in Gazzetta di Parma,  5 novembre 2023