Cercando lo spirito del luogo

Cercando lo spirito del luogo

 

Dare un nome al parco degradato, al giardino cancellato, alla villa abbandonata. Come un esploratore che si imbatta per la prima volta in luoghi mai visti prima. Non le sembrava un’idea strampalata perché intorno a casa tutto era diventato un’altra cosa, totalmente diversa da quella che era stata un tempo. Irriconoscibile.

In questo nuovo paesaggio nominare Bosco dei tigli gli alberi maestosi dalla chioma fitta e intrecciata e polloni esuberanti scampati per miracolo al taglio della motosega; Luogo selvaggio il posto circoscritto tra il muro della recinzione divisoria del quartiere appena sorto con il grande noce e i due pioppi svettanti solitari come i grattacieli «a matita» di New York, e con i faggi, anch’essi due, che, benché  morti a causa del tracciato della fognatura che aveva toccato le radici, ancora si ergevano scheletrici tra pozzetti di cemento dimenticati e monticelli ghiaiosi ricoperti da un intrico invincibile di cardi, di soffioni, di rovi, di  pianticelle di alloro;  Casa abbandonata la villa ottocentesca chiusa da tempo, posta in vendita, e divenuta preda dei rampicanti, dei piccioni sui davanzali, del picchio impegnato a perforarne con cura instancabile le imposte e il portone di legno. E si poteva continuare chiamando Viale dell’edera il viale che portava al cancello per quell’edera esuberante che si arrampicava sui tronchi dei gelsi e dei salici che lo fiancheggiavano, pendeva in fitte liane   e in autunno, meravigliosamente, si ricopriva di fiori gialli ricchi di nettare; Canale disseccato quel leggero avvallamento nella sterpaglia senza più nessuna umidità quando un tempo sulle sue rive vi cresceva l’equiseto, vi gracidavano le rane nelle notti d’estate, e ranocchietti saltellanti arrivavano fin sotto il portico di casa.

Camminare adesso in quel luogo mutato si era colti da straniamento. Dov’era finito il «genius loci» una volta così riconoscibile? Dove si era rintanato? Sotto le cortecce degli abeti morti per le gallerie scavate dal bostrico? Nelle buche polverose dove si accovacciavano le lepri? Sulle chiome arrossate di alberi secchi divenuti posatoi prediletti dei corvi? La speranza si riaccendeva dopo la pioggia quando una vita spontanea e effimera si risvegliava nella ferocia di quel seccume e muschi silenziosi rinverdivano, piccoli fiori, tulipani gialli, erbe piumate in luoghi nascosti che lei visitava aprendosi la strada con il falcetto nelle macchie dense e intricate dei rovi, sfiorando vite invisibili di insetti, di roditori, di bruchi. Si fermava. Scrutava. Stava in ascolto. Per cogliere almeno una vaga immagine di quella antica divinità. O un frusciare furtivo nel verde. Ma il rumore incessante del traffico disturbava quando invece il sacro aveva bisogno di pace e silenzio per vivere e manifestarsi.

Ma resisteva dietro casa un luogo dove ancora poteva svelarsi. Riparato, protetto dalla tuia, dai cespugli di sambuco, dai pruni selvatici, dall’immancabile edera che rivestiva la morta siepe del bosso, con terra nera e grassa sotto la catasta di legna marcia, famiglie di funghi gelatinosi, e un’indistinta quantità di vegetali pieni di succo. Nel buio splendore di quel verde una grande animazione si coglieva: i voli dei piccoli uccelli, dei merli, delle cinciallegre, dei pettirossi si intrecciavano come in una voliera. E con la pioggia non c’era luogo più incantevole. Spinta da un bisogno interiore ne varcava la soglia. Entrare in quell’intima vita vegetale era come entrare in chiesa. Per quella luce raccolta. Quel silenzio. Quella dolcezza. E lei ci stava come una vecchia statua di pietra. Che licheni d’anni rivestivano. Crepe di ricordi segnavano. La pioggia picchiava sulle foglie, non c’era altro rumore, e le sembrava allora di avvertire la presenza di quella antica divinità. Quando ne usciva luce e vapori lontani e, a volte, l’azzurro del cielo color pervinca. Una sfumatura d’azzurro così rara ormai. Avesse avuto il cianometro per misurarla. (La passione che nutriva per gli strumenti da esploratore: la bussola, il sestante tascabile e pieghevole, l’ago declinatorio per determinare la forza del magnetismo terrestre, l’eudiometro per la valutazione della quantità di ossigeno dell’aria,l’igrometro a cappello per l’umidità… strumenti arcani, affascinanti come quelli di un alchimista.) E annotarla subito, da testimone, a fianco dell’ora precisa di quella traccia celeste che aveva lasciato. Prima che fuggisse ancora una volta. Lontano. «Perché te ne vai? Resta ancora!»

 

 in Gazzetta di Parma, 18 giugno 2023