Una borsa di pane secco

Una borsa di pane secco  

 

Spezzo del pane secco sulla balaustra del giardino con un sasso. Qualcuno, dalle case vicine, continua ad appendere alle inferriate del cancello una borsa di plastica con dentro pezzi di pane e focaccia. Sembra ignorare che da almeno un anno, da quando il contadino è morto, non ci sono più galline. Dopo la sua morte il pollaio era allo sbando.

Nessuno più preparava il pastone, puliva sotto i trespoli, ritirava le uova, cambiava la paglia alle cassette, lanciava il solito richiamo a sera per radunarle, e rinchiuderle per la notte. Le galline senza più quella guida sicura e autorevole razzolavano nelle aiuole fiorite del giardino in cerca di cibo, sonnecchiavano in buche sotto le siepi, si appollaiavano sui rami bassi delle piante per dormire. Poi una mattina, ecco fumare il calderone vicino all’orto. Le galline chiamate con lancio di melica, acchiappate, uccise, immerse una dopo l’altra nell’acqua bollente (tenute ferme con un lungo bastone perché non affiorassero) ripescate, distese sulle ginocchia di due donne sconosciute, che uno spesso grembiule di plastica gialla proteggeva, spiumate con destrezza ancora fumanti. La mattanza delle galline si era protratta fino al tardo pomeriggio. Solo una gallina piccola e bianca era riuscita a fuggire e a nascondersi, terrorizzata, sotto un cespuglio di nocciolo vicino alla casa che abitavo. Invogliandola con pezzetti di pane lasciati cadere ad arte come i sassolini di Pollicino, dopo diversi tentativi eccola entrare finalmente nel garage dove poi la tenni rinchiusa per diversi giorni. E mi ingegnavo a prepararle un pastone appetitoso (così mi sembrava) con pane raffermo bagnato nell’acqua, foglie spezzettate di insalata, rondelle di carote, bucce di frutta, offrivo anche manciate di granaglie, e tutti i giorni cambiavo l’acqua nella ciotola. Anche la paglia della cassetta dove dormiva (che vi deponesse un uovo ogni tanto, come un dono, mi sarebbe piaciuto ma, per il tempo che abitò da me, non successe mai) tenevo pulita. Cercavo insomma di renderle la prigionia sopportabile, di farle dimenticare l’avventura traumatica a cui era scampata. Dopo un paio di settimane di reclusione, per paura che lasciandola libera facesse la fine delle altre, decisi di affidarla alle cure di un amico le cui galline, libere felici chioccianti, morivano solo di vecchiaia. Chiusa in uno scatolone affrontò il viaggio con serenità. Ogni tanto passavo a trovarla come si fa con un parente, e mi rallegravo vedendola del tutto inserita nel nuovo ambiente anzi, una delle ultime volte persino irriconoscibile tanto si era fatta grassa, mettendo su per giunta, a detta dell’amico, un cipiglio da condottiero irascibile e feroce (forse perché «aveva visto la morte in faccia»), e divenendo in breve la Gallina Bianca, autorità indiscussa del pollaio acquisito.

Ignota al donatore deve essere l’estinzione del pollaio perché la borsa del pane continua a comparire alle inferriate del cancello. E io continuo a ritirarla. E a gettare il pane ai piccioni, alle gazze, ai corvi, ai fagiani.

Oggi nella borsa c’è una grande varietà di pane: pane all’olio, pane alle olive, panini alle noci. Non ho ancora finito di romperlo che già le gazze e i corvi l’hanno adocchiato, e lanciano richiami dai rami dove se ne stanno appollaiati, qualcuno, più impaziente, compie voli bassi, circospetti, indagatori. È un gracchiare rauco, vagamente minaccioso quello che si perde nell’aria fosca di questo mattino d’inverno dal sentore acuto di disfacimento. Un brivido mi percorre. È come l’annuncio della fine del mondo che arriva da terre desolate, da un tempo remoto, e si fa strada in questa luce opaca velata di caligine. Il cielo non tornerà più azzurro. Venti soffieranno da deserti di cenere. Miasmi irrespirabili. Sassi anneriti. Ossa. Lamiere contorte. Terra che brucia. Ombre che vagano. Mentre scuoto la borsa dalle briciole una paura improvvisa mi prende. Sollevo la testa. No. Qualcuno verrà e pianamente, come si fa con i bambini, mi infonderà nuovamente fiducia. Mi incoraggerà. Mi svelerà di nuovo il mistero della Vita e della Morte. Ma nel momento stesso in cui formulo questo pensiero un altro si fa strada e vuole disilludermi, vuole costringermi a credere che non apparirà nessuno perché siamo soli. Soli. E che le parole non dicono più niente. Eppure non scappo. Con ostinazione continuo ad aspettare, a tendere l’orecchio a quella voce che sentirò, che riconoscerò, che mi consolerà. E non sarà l’eco vana del mio chiedere. 

 

in Gazzetta di Parma, 29 gennaio 2023