La stufa di maiolica

La stufa di maiolica

 

Sfioro con sguardo carezzevole la mia stufa di maiolica. Prima di andare a letto. Le sere d’inverno. Non vorrei uscire dalla mandorla del suo tepore dorato. Non vorrei. Bastano pochi passi e l’ombra fredda già mi tocca con polpastrelli gelati. Torno indietro. Indugio seduta in poltrona con il libro chiuso tra le mani. La guardo. Non vorrei andarmene. Ma è tardi. È notte fonda. Ritento. Mi alzo. Mi fermo davanti a lei. Vicino a lei. Mi appoggio a lei. L’abbraccio. La testa adagiata sul piano liscio come su una spalla. Il suo tepore mi avviluppa. Mi invade. Madre.

 

Ho detto tepore, ma non è tepore. È un caldo ardente quello che ancora si sprigiona dalle sue formelle color miele. Per tutto il giorno hanno accumulato calore: la stufa è accesa fin dal mattino. È La prima cosa che faccio quando mi alzo: tolgo la cenere e la preparo con attenzione: fogli di giornale, legna minuta e cortecce e pigne secche come esca, fiammifero: mi piace accendere il fuoco al primo tentativo. Poco alla volta aggiungo rametti e bastoncini. Bruciano bene, con energia, e infiammano i ciocchi più grossi. Il fuoco prende impeto. Aspetto. Sopra un letto di braci rosse e viola poso altri ciocchi. Il fuoco si fa bello. Arde con vigore. Questo è il fuoco che mi piace. Il fuoco che alimento senza risparmio. La catasta di legna eretta sotto il portico fornisce legna stagionata e pulita: tagliata durante l’estate si è asciugata lentamente al sole e all’aria. (E oggi ho bruciato un bel ceppo compatto, pesante, di legna buona, scortecciato, segnato sull’alburno da nervature rosso scuro alternate ad altre di un verde sfumato, che avevo messo da parte per un giorno speciale, ma poi quando l’ho visto ho cambiato idea, forse perché in questi giorni è nevicato e il paesaggio e la temperatura sono così invernali. L’ho portato in casa e quando le braci si sono fatte intense, l’ho infilato con gioia, e la stufa si è mantenuta calda fino a sera.) Non solo un fuoco che scaldi, voglio. Ma un fuoco che consoli. Che dia amore. Amore. (Del resto, fin dall’inizio è stato un atto d’amore, il fuoco: Prometeo ha rubato una scintilla a Efesto per donarla agli uomini subendo la punizione di Zeus.) A volte, dopo averla accesa e ben avviata, quando il giorno non incalza e preme, mi siedo su un basso sgabello davanti allo sportello aperto e sto nel riverbero del fuoco. Nella sua luce. Nel suo tepore. Raccolta in me stessa, lo guardo incantata. Tutto brucia, il fuoco. I sogni tristi della notte. Il ricordo dei morti. Gli sbagli e gli errori che si commettono anche se ci si sorveglia. Nelle fiamme scorrono immagini voci memorie. Il tempo passato. E quella tristezza. Quel senso di fine così tangibile. Anche la voglia di fuggire lontano che a volte sento, e che cerca di spingermi ad abbandonare la casa e il giardino e il parco e la villa chiusa per raggiungere posti leggendari, misteriosi, isole esotiche, paradisi perduti, città scomparse, mari … e mentre viaggio su questo atlante personale, che emerge e si dispiega tra le fiamme, al caldo e al sicuro, cado in un tempo fuori del tempo e dello spazio. Eterno. Mentre il fuoco continua a bruciare.

Il più delle volte a restituirmi al tempo presente è Pandus, il mio gatto bianco che gratta alla porta per entrare. Insiste. Di mala voglia chiudo lo sportello e mi alzo. Entra di corsa, salta sul bracciolo della poltrona e da lì, con un balzo ben calibrato atterra sul piano della stufa, già tiepido; e vi si stende sopra, lungo lungo, di traverso (così ci sta tutto), e non scenderà che per mangiare, frettolosamente, e tornarci subito dopo. E quando, nel corso della giornata il calore risulterà troppo intenso, si sposterà sul bordo continuando a dormire, a sognare, a russare. Paragonarlo al pigro Oblomov, che a Pietroburgo trascorreva le giornate coricato sul divano, è fin troppo facile e banale, anche se mentre l’accarezzo, non posso fare a meno di pensarlo, forse perché fuori la neve è alta e gelata. Blu e nera e bianca. E tutto è silenzio.

Ma adesso è davvero tardi. Devo andare a dormire. La stufa continuerà ad irradiare il suo calore, lentamente. Fino al mattino. Quando, ancora tiepida, la farò ripartire con corteccia e rametti secchi. (Il piacere che provo a compiere queste operazioni antichissime.) E quando le braci saranno intense, aggiungerò ciocchi e pezzi di legno sottili. E il fuoco divamperà. Il fuoco sacro della giornata. Il fuoco che avrò cura di tenere vivo per tutto il giorno. Sono la sua vestale. «Ti amo, Stufa.»

 

in Gazzetta di Parma, 06/03/2022