Il maglione di Natale
Il maglione di Natale
Sollevò gli occhi dal libro e incontrò il sonno beato della gatta sulla sedia vicino alla stufa. Acciambellata sul maglione rosso russava. Forse sognava. Il maglione era di un bel rosso. Quale rosso, di preciso? Ce n’erano un’infinità. Passò in rassegna i più facili che ricordava : rosso pompeiano, rosso cardinale, rosso lacca, rosso carminio, rosso granata, rosso porpora, rosso rubino (ah, l’eleganza del rosso rubino! le sue gradazioni!) rosso Tiziano…A questi aggiungeva il rosso Grenadine, che rimandava alla colorazione del susino rosso giapponese (rosso intenso sul 95% della superficie con un fondo giallo) visto alle sfilate New York-Londra-Milano-Parigi, eletto, in quell’inverno ormai lontano, Rosso Pantone (istituzione mondiale del colore), e che lei ricordava perfettamente.
Tutti questi “rossi” però e altri che le si affollavano in testa svolazzanti come farfalle su un sentiero di montagna, apparivano lontani. Astratti. Ben più reale le parve il rosso delle bacche del pungitopo visto quella mattina quando, subito dopo colazione, era uscita di casa per assecondare il desiderio di camminare in giardino, di affrontare il freddo intenso, di attraversare gli intrichi gelati di rami sarmentosi che facevano incespicare e tendevano trappole, di incontrare il muschio chiuso nel ghiaccio. Senza dimenticare di infilare nella tasca della giacca le cesoie e i guanti perché, anche se le piaceva “sentire” con le mani nude la pianta facendole scorrere lungo la corteccia, o passandole sul muschio, o raccogliendo manciate di foglie umide, la meta taciuta, non detta, era quella di raggiungere il cespuglio del pungitopo: un groviglio di vegetazione impenetrabile per la durezza delle false foglie spinose nella morta siepe del bosso. Aiutandosi con un bastone aveva tolto le foglie del nocciolo, e poi con le cesoie l’aveva liberato dall’edera e dalla vitalba che lo assediavano. E il verde scuro e lucido dei suoi rami pungenti, dei suoi lunghi fusti dritti e rigidi, il rosso uniforme e intenso delle sue bacche – minuscoli pianeti scarlatti nel buio di un cielo invernale – erano apparsi in tutta la loro magnificenza. (Su un fusto più corto degli altri aveva contato ben otto bacche tutte ben distribuite dall’apice fino a terra.) Anche se l’arbusto appariva vigoroso e fitto, e certo non ne avrebbe sofferto, si era limitata ad ammirare la sua bellezza segreta, e non ne aveva reciso neppure un fusto.
Dunque quel rosso… Chiuse il libro. Afferrò la gatta, e la depose sulla poltrona. Prese il maglione. Lo esaminò con attenzione. Aveva la scollatura a V, buchi sotto le ascelle non ce n’erano e neppure ai gomiti, macchie non se ne vedevano né sul davanti né sul dietro, l’etichetta interna recitava PURA LANA VERGINE (maiuscolo e sottolineato), recava il simbolo di un grande gomitolo di lana, il codice 1621147, seguiva poi, subito sotto la linea nera, il consiglio di lavarlo a secco o a mano con cura. Questo “con cura” le parve così affettuoso, così intimo, per nulla impositivo che certamente avrebbe seguito il consiglio. Come mai l’aveva scartato? Se non avesse deciso di rendere confortevole la sedia-cuccia dove dormiva la gatta sarebbe rimasto a languire negletto e abbandonato per chissà quanto tempo ancora. Occorreva certo una buona spazzolata per togliere peli, pagliuzze, qualche filo d’erba, prima di lavarlo a mano e con la cura dovuta come suggeriva l’etichetta. Si sentì osservata. La gatta infatti, dopo quel proditorio spostamento, la stava guardando con una certa diffidenza.
«Non riavrai questo maglione, cara la mia gatta. Adesso è mio. È un po’ infeltrito, sì, ma il suo rosso “flamboyant” – ecco, “flamboyant”! – è il rosso giusto per celebrare il Natale. Te ne cercherò un altro.» E mentre si alzava per andare in solaio a frugare nel sacco degli stracci pensò anche al fusto di pungitopo da recidere per la tavola delle feste. Era tempo. Con indosso il maglione rosso fiammeggiante e la bacca rosso fuoco del pungitopo perfettamente rotonda, che celebrava la rinascita del sole al solstizio, la durata, la sopravvivenza, e la prosperità avrebbe toccato il giorno più corto e buio dell’anno: il giorno in cui il sole si sarebbe fermato e poi avrebbe ricominciato a tornare indietro, verso ovest, come un pendolo. Che anno felice sarebbe stato il suo. La promessa di quella felicità futura stava tutta in quei due rossi che si erano donati con spontaneità. Con amore. C’era da crederci. E lei ci credeva. (O almeno, fingeva di crederci.)
in Gazzetta di Parma, 13 febbraio 2022