Le buche di Beckett

Le buche di Beckett

 

Beckett scavava buche nel giardino intorno alla casa di Ussy-sur-Marne (comprata con la somma ereditata dopo la morte della madre) a circa sessanta chilometri da Parigi. Per piantare alberi. Così scrive, nel corso degli anni 1941-1956, in alcune lettere inviate a diversi destinatari.

 

A Georges Duthuit, mercoledì sera 10 gennaio 1951 :«Tempo stupendo da qualche giorno. Orgia di vangature, anzi di dissodamenti.» A Robert Pinget, 8 marzo 1956 : «Pianterò trenta arbores vitae e un cipresso azzurro, ieri ho scavato quindici buche.» Informazione che si ripete pochi giorni dopo nella lettera del 15 marzo a Barney Rosset :«Sono diverse settimane ormai che non guardo la nuova pièce, lo confesso, né ho seguitato a lottare con L’innominabile. Però ho scavato cinquantasei buche nel mio “giardino” per accogliere varie piante, compreso trentanove arbores vitae e un cipresso azzurro». A Nancy Cunard il 7/11/1956: «Ho piantato un sicomoro ramato singhiozzante, otto biancospini rossi e un cedro del Libano.»  A Jacoba Van Velde il 15/12/1956 :«Lunedì qui si pianteranno degli alberi. Ho preparato le buche. Se fa freddo come l’anno scorso, ora della primavera saranno tutti crepati.» Altri riferimenti alle buche costellano le lettere. L’imbattermi in questo suo costante scavare buche mi è parso, a un certo punto della lettura (secondo volume della Lettere  1941-1956, pubblicato da Adelphi) contiguo al riempimento delle mie carriole di foglie secche.

Quando per alcuni giorni non riesco a scrivere, non riesco a leggere, non riesco a domare (o arginare) il disordine dei giorni, ecco che il riempimento delle carriole mi viene in soccorso. Vado in giardino, infilo i guanti, prendo il rastrello a ventaglio, trascino la carriola fino alle magnolie. E incomincio a rastrellare, a smuovere quella stratificazione di foglie coriacee polverose rumorose. La scusa è: dare respiro al terreno, offrirlo libero alla pioggia che cadrà, che lo renderà morbido e umido. Quando la carriola è piena la trascino lentamente fino alla buca del compost (nel campo selvatico.) La svuoto rovesciandola. E ritorno alle magnolie per un altro carico. Quante carriole riesco “a fare”? Tre, anche quattro, se mi sento bene in forze, tenendo conto dell’età: Beckett nel 1956, quando scavava buche, aveva cinquat’anni, io ne ho molti di più e quindi è comprensibile: per me niente dissodamenti o scavo di buche, ma riempimento di carriole con foglie secche. Quando sono stanca mi riposo appoggiandomi al manico del rastrello. E di nuovo Beckett. Nel libro c’è una foto in bianco e nero che lo ritrae in giardino appoggiato alla vanga, al suo fianco si intravede parte della carriola, “la sua prima carriola”, come scrive sempre a Georges Duthuit nella lettera del 9/14 aprile 1951 : «Ho comprato una carriola, la mia prima carriola! Va benone su quella sua unica ruota». Ho guardato attentamente questa fotografia, con interesse. E ho concluso che Beckett si appoggia alla vanga non solo per riprendere fiato dopo la fatica dello scavo, ma per indagare un pensiero improvviso, per fermare una battuta, per continuare il monologo abbandonato, per decidere le mosse dei suoi personaggi. O per sfuggire alla depressione, alla frustrazione che lo assalivano quando non scriveva. Perché l’unica cosa certa, al di là di ogni dubbio, era che finché fosse vissuto lo scrivere sarebbe stato per lui una necessità. «Per dare forma alla confusione.» E non bastava ubriacarsi. Litigare con la moglie Suzanne. Uscire fuori dunque. E a Ussy-sur- Marne mettersi a scavare buche in giardino. E passare il tempo. Lasciare che il tempo passasse. Scavare buche per metterci dentro non solo alberi. Ma anche Winnie. Winnie, donna sulla cinquantina, interrata fino alla vita, «piantata fino alle tette in questa terra merdosa», ci passava giorni felici dentro le buche. «[…] con delle ore davanti a sé, prima del campanello del sonno, e più niente da dire, più niente da fare, che i giorni passano, certi giorni passano, passano e vanno, senza che si sia detto niente, o quasi, senza che si sia fatto niente, o quasi.» Winnie parla, parla, non smette di parlare. (E Willie, uomo sulla sessantina, alle sue spalle, ascolta o finge di ascoltare.) E a destra, sul monticello di terra, la sporta delle cose. Da dove estrae uno spazzolino da denti, un tubetto di dentifricio, uno specchietto…E la rivoltella (che si porta alla bocca e bacia e poi rimette nella sporta). «Oh, anche questo sarà un altro giorno felice!»

 

in Gazzetta di Parma, 23 ottobre2022