Il facile inizio del suo romanzo rosa
Il facile inizio del suo romanzo rosa
I rami secchi dei noci, dei tigli, dei pruni selvatici caduti per il vento erano stati tagliati. Adesso, quei pezzi di legna buoni per l’inverno, bisogna portarli al riparo, non farli bagnare dalla pioggia, attaccare dai funghi e dalle muffe, sfarinare dagli insetti. Così ogni giorno andava con la carriola, la riempiva, tornava al portico, li impilava contro il muro. Non c’era bisogno di frequentare una palestra, quella era la sua ginnastica quotidiana.
Però, pur mettendo la cosa sotto questo aspetto, doveva confessare che a volte non aveva voglia di farlo. Era un lavoro pesante. Perché avventurarsi per il podere sotto quel sole implacabile, doversi difendere dalle zanzare, trascinare faticosamente quel peso come un somaro fino a casa? Non sarebbe stato meglio spiare il giorno, torrido già di prima mattina, dalle imposte socchiuse, provvedere a quel poco che serviva, e per il resto del tempo starsene nell’ombra della stanza immobili come un ragno? Insomma, non era meglio rimandare quel lavoro a temperature più miti, magari in autunno?
Ma intanto. Quel giorno, dopo il secondo giro, esausta e sudata, si era accasciata sulla seggiola con le braccia penzoloni, le mani ancora infilate nei guanti, la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi. Aveva sentito una macchina fermarsi sul piazzale al di là della recinzione, sbattere la portiera, voci che arrivavano a strappi portate dall’aria calda. E aveva pensato che, se si fosse trovata in un romanzo rosa, dopo un breve intervallo di silenzio, sarebbe stata raggiunta da una voce maschile vicinissima a lei che molto gentilmente si scusava per il disturbo e nel contempo chiedeva indicazioni circa una via che doveva trovarsi da quelle parti. Aperti gli occhi, con una certa curiosità – soccorsa in questo da quell’indimenticabile «la sventurata rispose» di manzoniana memoria – avrebbe risposto alle garbate domande dello Sconosciuto con un laconico «No, qui non c’è nessuna via con questa denominazione, provi dall’altra parte della strada».
Ma quell’uomo, ovviamente bellissimo (capelli e baffi ben curati, niente pancia, sobria t-shirt infilata nei jeans, odore discreto di dopobarba) esaurito quel breve scambio di informazioni non se ne sarebbe andato anzi, intuendo che lo stato di spossatezza in cui versava era stato causato (che acume! che sagacia!) dal carico di legna della carriola, si sarebbe accinto all’operazione di svuotarla. Senza parlare, men che meno fermarlo, lei avrebbe seguito i suoi gesti alacri e misurati. Persino eleganti. A lavoro ultimato, per cortesia, solo per cortesia, gli avrebbe offerto qualcosa di fresco da bere: succo di frutta, Coca-Cola, acqua minerale. Seduti sulle seggiole di plastica dopo essersi spruzzati il repellente per le zanzare, avrebbero sorseggiato dai loro bicchieri con studiata lentezza, passando via via da una conversazione generica a qualcosa di più personale. Ci sarebbero state risa, quindi il naturale scambio dei rispettivi numeri di cellulare. Questo il facile inizio del suo romanzo rosa. Continuare era altrettanto semplice.
Il mattino dopo lui sarebbe ricomparso senza telefonare (meglio un’improvvisata) offrendosi, se lei era d’accordo, di andare sul posto (bastava indicarglielo) a raccogliere la legna «certo, anche i pezzi nascosti nell’erba alta» stesse tranquilla, avrebbe riempito la carriola, ecc. Come sdebitarsi questa volta? Non bastava certo un bicchiere fresco di limonata. L’avrebbe invitato a pranzo. Ottenuto di buongrado il suo assenso, lei più volte si sarebbe affacciata alla finestrella sotto il portico a guardarlo, attratta dai suoi bicipiti che si gonfiavano ai colpi d’accetta che calavano con forza sui ciocchi più grossi (che generosità spaccarglieli da parte sua!). E il turbamento psichico e fisico suscitato in lei da tale visione non se ne sarebbe andato tanto facilmente, ma l’avrebbe seguita in cucina e guidata nella preparazione di un’abbondante pasta e fagioli (un classico della cucina povera), seguita da un tagliere di salumi, il tutto accompagnato da un ottimo Lambrusco. Caffè, alla fine. Arrivata a questo punto però, si era rifiutata di continuare. Non voleva finire imprigionata in un romanzo rosa. Soprattutto, non voleva il lieto fine – indecente – del romanzo rosa. Lei sola avrebbe portato a termine il lavoro.Lei sola innalzato la catasta di legna che in inverno avrebbe bruciato senza risparmio. Quello il solo fine contemplato. Lieto senza alcun dubbio. Non ce n’erano altri. Era la verità.
in Gazzetta di Parma, 6 giugno 2021