Una borsa troppo piena e la bussola
Una borsa troppo piena e la bussola
Nella borsa c’erano già troppe cose. Pesava. Diverse volte aveva tentato di alleggerirla togliendo il quaderno per gli appunti, il libro-salvataggio per ingannare la molestia delle attese che potevano presentarsi in qualsiasi momento (incidenti, interruzioni stradali, senso alternato, banca, dottore), un paio di occhiali da sole…Non ci riusciva mai.
L’unica cosa che aveva eliminato con facilità, quasi con gioia, era stata la pochette del trucco, del tutto priva di interesse, il resto però le sembrava indispensabile. A cominciare dall’ astuccio con spazzolino e dentifricio in formato da viaggio, agli occhiali da vista, più di un semplice paio, da vicino e da lontano, al portafogli pesantissimo per via della moneta (parcheggio, elemosina, cero votivo, altro) e tessere varie infilate in ogni scomparto, alle chiavi della macchina, della cassetta della posta, del cancello che vi si aggiungevano, ovvio, quando usciva di casa. Nessun dubbio era mai sorto riguardo al foulard, una piuma. Grande. Leggero. Quadrato. A campo bianco con gigliucci blu in tinta con il bordo. Di estrema utilità quando al supermercato nel reparto frutta e verdura o davanti al banco del pesce, a quello dei latticini, si veniva aggrediti da un freddo polare, ecco che bastava estrarlo (lo si trovava sempre senza affanno) avvolgersi le spalle, che se ne riceveva subito un conforto immediato. (E una volta superate quelle temperature da steppa siberiana e approdati in zone più temperate, si poteva toglierlo, riporlo senza alcuna attenzione.) Sul fondo, in mezzo a scontrini della spesa, carte di caramelle, fazzoletti di carta usciti dalla custodia e ormai gualciti, promemoria spiegazzati, matite penne graffette, si trovava il simpatico tranquillo coltellino multiuso, svizzero naturalmente, rosso con la croce bianca, dalla lama ripiegabile dotato di stuzzicadenti, forbici, pinzette, apribottiglie e cacciaviti. Come farne a meno? Il coltellino l’avrebbe tratta d’impaccio in ogni circostanza. Ma adesso era davvero troppo. Non doveva farlo. Non doveva cedere, infilandolo nella borsa, alla seduzione visiva tattile psicologica di quell’oggetto stupendo. Nella camera del figlio sopra un ripiano della sua biblioteca tra libri e fumetti era comparso un contenitore di cuoio, piccolo, solido, impunturato con due ganci (una volta in mano capì subito che servivano per agganciarlo alla cintura) chiuso da un automatico in tinta. L’aveva aperto, ovvio. Dentro c’era una bussola. L’ago magnetizzato girava sul perno a ogni piccolo movimento e puntava senza incertezze al Nord. (“Made in USA” si leggeva dalla finestrella trasparente per la lettura sul fondo della cassa grigio-militare con disco graduato.) Così vivo quell’ago. Sembrava non aspettasse altro che rendersi utile. Indicare la via da seguire. Nessuna considerazione di buon senso la trattenne. L’avrebbe portata con sé sempre e ovunque: una bussola per non “perdere la bussola”. Mai. Bastava guardare nella borsa.
in Gazzetta di Parma 12.01.2020