L'attesa nel bar pasticceria

L’attesa nel bar pasticceria

 

Erano anni che non entrava in quel locale. A ricordarglielo d’improvviso era stata la vista di una  famosa attrice, ritratta sorridente e  con un pacchetto di dolci ben confezionato tra le mani, proprio davanti ai vetri smerigliati e agli ottoni  lucidi della pasticceria. E una nostalgia struggente l’aveva invasa.

Ogni particolare, anche il più piccolo e insignificante, di quell’arredo opulento e fuori  dall’ordinario le tornò in mente. Rivide le boiseries raffinate, gli stucchi eleganti, lo specchio di fronte al bancone, le poltroncine e i divanetti ricoperti di velluto bordeaux; rivide la sfilata delle torte, dei biscotti, delle gelatine, dei diafani parfait di mandorle, degli amaretti, dei budini al bicchiere…dietro le vetrine lucide. Respirò, quasi per magia, quel tiepido odore di caffè e di frolle e di cialde croccanti appena sfornate che si coglieva già fuori dall’ingresso; risentì il brusìo che,  appena entrata, le veniva incontro, e che lei accoglieva, ancora sulla soglia, come un saluto indistinto e festoso. Dopo un attimo di esitazione, attraversava leggera la sala, quasi in punta di piedi, e si sedeva al tavolino d’angolo, il suo solito, vicino alla vetrata che si affacciava sul borgo. 

Da lì, senza risultare invadente, poteva osservare i camerieri che attendevano solerti tra i tavoli alle richieste dei clienti, o l’andirivieni delle persone che si avvicendavano al lucido bancone, poteva soffermarsi sulle signore impellicciate che sbocconcellavano la brioche scelta con cura - attente a non sbavare il rossetto carico delle labbra -, o indulgere sulle coppie che parlottavano fitto fitto, le teste vicine, le mani intrecciate. La nebbia, fuori, invadeva le strade, trasformava le case, i tetti, gli alberi spogli, i lampioni, e i rari passanti in sagome evanescenti, smorzava i rumori. Il caffé era caldo, buono, e lasciava un buon sapore in bocca. Le millefoglie di pasta croccante sul piattino erano invitanti. Si sentiva bene. Era bella. Era elegante. Era giovane. E aspettava il suo amante. Senza ansia. C’era ancora tempo prima che lui la raggiungesse. Era lei che volutamente arrivava in anticipo. Perché le piaceva stare in quell’atmosfera da romanzo. Da Belle Époque. Prendeva dalla borsetta il libro che aveva portato, lo apriva, chinava la testa: non per leggere, ma solo per il piacere di sentirsi chiusa in quella monade di dolcezza, solo per nascondere agli altri e assaporare, secondo il proprio ritmo interiore, quel senso piacevole di anticipazione da cui era pervasa. Lui sarebbe entrato e le avrebbe sorriso avvicinandosi al tavolo, le avrebbe sfiorato la nuca con piccoli baci prima di sedersi. E mentre il cameriere prendeva l’ordinazione, e la mattina continuava a offrirsi come una magnifica avventura, loro avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi. Per ritrovarsi. Fino a che, impazienti, sarebbero usciti nella nebbia di quel mattino d’inverno, e avrebbero raggiunto la macchina stretti l’uno all’altro.

Per un attimo pensò che non c’era niente di difficile o di sconveniente nel tornare a frequentare quella pasticceria, che niente e nessuno glielo proibiva. Ma con altrettanta, subitanea, dolorosa lucidità capì che niente poteva essere replicato con lo stesso desiderio ingordo e felice, persino infantile, di allora: lei non era più giovane, e nessuno sarebbe entrato da quella porta per incontrarla, nessuno avrebbe cercato le sue mani, le sue labbra. Nessuno a sussurrarle all’orecchio parole d’amore. Tutto era già stato consumato.   

 

 

in Gazzetta di Parma, 24 gennaio 2016